|
L’ingegner
Terenzio Del
Chicca, mio
affezionato
compagno delle
scuole
elementari ed
oltre, dopo aver
servito La
Spezia nel campo
professionale e
in quello
civico, la serve
ora amandola
nelle sue
memorie
storiche, delle
quali è
appassionato
ricercatore: una
Spezia
scomparsa, non
solo
materialmente,
in un volger di
anni
relativamente
breve.
Nel 1964, procurandomi una rara raccolta di
versi vernacoli
del poeta
spezzino
cavalier Alberto
Faggioni, (« A
Sprugoa »),
scritti alla
fine del secolo
scorso, egli mi
diede il piacere
di scrivere
qualcosa sulla
storica fonte,
con la quale
scomparve la
vecchia Spezia,
su questo stesso
giornale (3
gennaio). Ora il
Del Chicca ha
rintracciato
dello stesso
poeta sprugolino
(che fu
apprezzato
funzionario
dell’Arsenale)
una briosa
poesia su Porto
Venere,
intitolata
appunto
«Portivene». Mi
sembra utile
farla conoscere,
e per la
freschezza
marina dei
versi, e perché
dimostra l’amore
e l’interesse
che gli spezzini
degli anni
novanta
nutrivano per
l’ancor poco
accessibile
perla del lato
occidentale:
« En ter gorfo gh’è na perla
ma l’è tanto ben ciantà
che daa Speza ne gh’è verso
de poteghe dae n’ocià.
L’è là ‘n fondo passà e Grassie
ente en specio de bellessa
la gh’è ‘r mae chi la caéssa
tuto ‘n zio de sà e de là.
O Portivene! cao me posteto
co’ e te cà aote tute a brasséto
co’ e te fenestre sorve ae scogee,
co’ i fioi che penda zu dae ringhee.
Te, t’ei a perla che me a sospio
e a me consolo quando a t’amìo
o Portivene! me a voi cantàe
che t’ei a perla d’ô nostro mae ».
Proprio così: Porto Venere, nascosta alla
vista del golfo,
con le case
alte, « tutte a
braccetto »,
come il poeta
spezzino la
vedrebbe ancor
oggi; ma un po’
più sofisticata
nel suo sfondo
pittorico e
tutto
particolare...
Ma vi era un’altra ragione per la quale il
poeta della
Sprugola amava e
sospirava «
Portivene » e lo
dice in altri
versi che
risparmio al
lettore: la
finestra della
Annunziata (dea
Nunsiata), che
aveva stampata
nel cuore, al
principio del
paese dove la
sua bella gli
appariva fra
tendine e gerani
fioriti. « E per
questo — egli
concludeva —
t’amo e t’adoro
Porto Venere,
perché è lì
dentro, in te e
nelle tue case
(forse nel
poetico ed
arcaico caruggio!)
tutto il mio
tesoro ».
|
|